I Costi dei resi gratuiti nell’ecommerce
Un articolo de “il post” racconta come funzionano i resi “gratuiti”
Sono diventati essenziali del business degli acquisti online e i rivenditori spesso li incoraggiano: ma gestirli non è semplice.
Quando ha iniziato a diffondersi l’ecommerce, le spedizioni gratuite sembravano un privilegio impensabile. Oggi le diamo per scontate, anche perché abbiamo imparato che non esistono davvero spedizioni gratuite: è un sistema per invitarci a comprare più cose, e quindi per fare guadagnare più soldi al venditore. Da qualche anno, uno dei servizi più importanti per i siti di ecommerce sono invece i resi gratuiti, cioè la possibilità di restituire un oggetto acquistato senza pagare: la offrono sempre più venditori e addirittura qualcuno la consiglia ai clienti, nonostante gli evidenti costi di gestione di un servizio di questo tipo. E per lo stesso motivo delle spedizioni gratuite.
Quando i principali siti di ecommerce hanno iniziato a offrire la possibilità di restituire senza spese gli oggetti acquistati, non solo nei casi in cui fossero difettosi ma per qualsiasi motivo (anche nel semplice caso in cui l’oggetto non piacesse), non tutti i clienti ne hanno approfittato da subito. Matteo Bovio, portavoce di Zalando, la grande società tedesca specializzata nella vendita online di scarpe e abbigliamento, ha spiegato al Post che esiste ancora oggi, in molti clienti, una specie di blocco psicologico: dei focus group hanno dimostrato che per molte persone l’idea di restituire un oggetto è associata a un danno arrecato al venditore, o a una forma di vergogna per l’acquisto sbagliato. Ma le cose stanno cambiando, e sempre più persone usufruiscono della possibilità di cambiare le cose che comprano.
Questa tendenza, comprensibilmente, aumenta dopo Natale, perché molte persone restituiscono oggetti che hanno ricevuto in regalo o che hanno regalato sbagliando taglia o colore: una ricerca della National Retail Federation (NRF), la più grande associazione di rivenditori americana, ha calcolato che il tasso di merce restituita durante le festività è del 2 per cento più alto del normale, se si considerano tutti i negozi. Se si prendono in esame solo quelli online, la percentuale aumenta molto. Tobin Moore, CEO di Optoro, una startup che gestisce i resi per diversi rivenditori online, ha spiegato che il tasso medio è dell’8 per cento, ma può raggiungere il 30 per cento nei settori come quello della moda. Moore prima della festa del Ringraziamento aveva previsto che il 10 per cento degli oggetti acquistati online tra il Black Friday e il Cyber Monday sarebbe stato restituito. Sempre secondo la NRF, i resi sono aumentati del 66 per cento tra il 2010 e il 2015.
Ci sono siti poi che hanno tassi di resi ancora più alti, perché sono loro stessi a incentivarli. Zalando è uno di questi: come ha spiegato Bovio, la società vede il sistema dei resi come l’equivalente del camerino nei negozi fisici, ed è imprescindibile per un negozio online di moda. A differenza dei negozi fisici, poi, Zalando deve sostenere delle spese diverse, e perciò i resi gratuiti sono inseriti nelle spese strutturali e non tra quelle extra. A rendere più facile per Zalando investire sui resi gratuiti, poi, intervengono altri fattori: il margine di guadagno sui prodotti di moda è del 40-60 per cento, molto più alto del 15 per cento dei prodotti di tecnologia. E per come funziona la moda, è previsto rimanere con una certa percentuale di prodotti invenduti, per via della ciclicità nei gusti dei clienti.
Questi fattori rendono meno impegnativo per Zalando investire sui resi, tanto che organizza campagne pubblicitarie proprio per incentivare i clienti a restituire gli oggetti non desiderati. Nelle confezioni dei prodotti acquistati sul sito viene già inserita l’etichetta per la restituzione, o in altri casi dello scotch per poter richiudere la scatola. In alcuni paesi europei, come i Paesi Bassi e l’area di Parigi, Zalando ha collaborato con alcune startup per far passare a casa del cliente un corriere entro un’ora dalla sua decisione di restituire un oggetto.
Bovio ha spiegato che i dati di Zalando confermano che per il loro modello di business – che si concentra sulle nuove collezioni, e vende gli articoli soprattutto a prezzo pieno – «se si mette nelle migliori condizioni il cliente per un’esperienza di acquisto di un certo tipo, il cliente tende a ordinare di più e senza esitazioni anche in caso di acquisti più costosi». Secondo le stime di Zalando, nei 15 paesi europei in cui opera, il valore dei resi è di circa il 50 per cento di quello degli oggetti venduti (compresi i resi per taglie sbagliate o prodotti difettosi). In paesi come l’Austria il tasso dei resi è più alto, mentre in Italia e in Spagna è più basso, per la differente affinità con l’ecommerce: più le persone sono abituate a comprare online, più restituiscono gli oggetti.
Altri siti, come ePrice, fanno pagare ai clienti le spese di spedizione della restituzione nel caso in cui sia stato il cliente a sbagliare l’acquisto, mentre coprono interamente la restituzione se la merce è danneggiata. ePrice offre anche ai clienti l’alternativa di lasciare gli oggetti in punti di ritiro convenzionati. ePrice, che vende di tutto ma soprattutto prodotti tecnologici, ha una percentuale di resi molto inferiore rispetto a Zalando: secondo quanto ha spiegato al Post Sara Braghiroli, product marketing manager di ePrice, rappresentano il 3 per cento degli ordini totali e si concentrano soprattutto nel periodo tra dicembre e febbraio. Circa metà dei clienti che restituiscono la merce scelgono la consegna fisica dell’oggetto.
Ci sono società che gestiscono autonomamente i resi, come Zalando, e altre, come ePrice, che ne appaltano la gestione a società esterne. Negli ultimi anni sono nate, soprattutto all’estero, startup che si occupano esclusivamente di raccogliere, esaminare e reindirizzare gli oggetti restituiti dai clienti per conto di società più grandi. Optoro è una di queste: attraverso un software stabilisce la destinazione e il percorso migliore per ogni prodotto, in modo da ottimizzare i costi per il rivenditore. Genco, un’altra startup di questo tipo che processa circa 600 milioni di articoli restituiti all’anno, è stata acquistata nel 2014 da FedEx, la multinazionale delle spedizioni, per 1,4 miliardi di dollari. Alcune società di questo tipo intervengono non solo sulle restituzioni, ma anche sugli ordini in uscita dai magazzini del rivenditore, programmando in anticipo il percorso più economico se il cliente deciderà di restituire il prodotto.
Oltre ai costi legati alla spedizione dalla casa del cliente al magazzino del rivenditore o della società che gestisce i resi, per i siti di ecommerce c’è il problema di cosa fare degli oggetti restituiti. Bovio ha spiegato che Zalando valuta individualmente ogni prodotto, per verificare se è rivendibile: la maggior parte dei prodotti ritorna in condizioni equivalenti a quelle di un articolo provato in un camerino, e quindi viene semplicemente ripiegato e riconfezionato. In altri casi i prodotti vengono stirati, perché non presentino segni di utilizzo. I prodotti che hanno difetti di fabbricazione, invece, vengono donati in beneficienza oppure rivenduti in uno dei tre outlet fisici che la società gestisce in Germania. Altri ancora finiscono in vendita online su Zalando Lounge, un sito parallelo che vende soprattutto prodotti di vecchie collezioni a prezzi scontati. In alcuni casi, definiti «rari» da Bovio, i prodotti non sono rivendibili e quindi vengono distrutti. Braghiroli ha invece spiegato che, per quanto riguarda ePrice, «esclusi quelli che ritornano al cliente riparati, i prodotti vengono sia rivenduti come ricondizionati sul sito oppure venduti a terzi a seconda delle condizioni e tipologie di prodotto. I prodotti vengono sempre recuperati».
Nel caso della moda, un rivenditore può decidere anche di distruggere un articolo per mantenere l’esclusività legata a certi brand: alle aziende di alta moda non conviene che circolino sul mercato propri prodotti troppo vecchi o difettosi, venduti a prezzi scontati. L’Economist ha spiegato che alcuni rivenditori danneggiano volontariamente i prodotti restituiti, per esempio eliminando l’etichetta o il marchio, per essere rivenduti senza conseguenze sull’azienda che li ha prodotti. Nel 2014, il mercato secondario di oggetti restituiti ha avuto un valore di 486 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti.
Nonostante a molti siti di ecommerce convenga offrire al cliente un modo facile e gratuito per restituire i prodotti, è ancora più conveniente offrire questa possibilità e contemporaneamente evitare che il cliente ne usufruisca. Per questo molti siti di abbigliamento, compreso Zalando, hanno sviluppato strumenti sempre più affidabili perché un cliente indovini al momento dell’acquisto la taglia giusta, o verifichi la vestibilità di un capo di abbigliamento, o capisca esattamente qual è il colore dell’oggetto. Zalando ha anche introdotto un sistema per dialogare in chat con un dipendente della società, che come un commesso di un negozio aiuta il cliente a scegliere, e Bovio ha spiegato che la società ha migliorato la qualità delle foto dei prodotti e ha cercato di mettere in evidenza le recensioni dei clienti, sempre per lo stesso motivo.
Poche società diffondono dati precisi sull’entità dei costi dei resi nei propri bilanci. ePrice ha spiegato al Post che sono «simili a quelli che si hanno per la spedizione in andata dei prodotti», mentre un rappresentante di Amazon ha detto che questi dati non vengono comunicati al pubblico. Zalando invece ha spiegato che i costi dei resi rientrano in quelli di fulfillment, che comprendono però anche altri tipi di spese. Per i primi nove mesi del 2016, i costi di fulfillment hanno rappresentato circa il 24 per cento del fatturato complessivo di Zalando: circa un terzo di questa voce rappresenta varie capitoli di spesa, come i servizi di content creation o l’assistenza clienti. Un altro terzo rappresenta le spese di magazzino. Un altro terzo ancora, e quindi circa l’8 per cento del fatturato complessivo, è legato ai costi per il trasporto, che comprendono però anche le consegne: i resi, ha spiegato Bovio, sono quindi una parte minore di questo 8 per cento.
via: www.ilpost.it